L’aumento di capitale rappresenta per la società per azioni una fondamentale fonte di finanziamento della propria attività imprenditoriale. La disciplina è contenuta negli articoli 2438-2447 del Codice civile.
In principio, l’aumento di capitale può essere in natura o c.d. a pagamento. Nel primo caso la società risulterà assegnataria di un bene diverso dal denaro, il quale dovrà essere soggetto a stima peritale (articolo 2440 c.c.). Nel secondo caso, invece, la società riceverà denaro in contropartita delle nuove azioni emesse.
Prima di addentrarsi oltre, è opportuno comprendere gli interessi rilevanti delle parti interessate. In primo luogo vi è l’interesse della società, affinché essa disponga degli adeguati mezzi patrimoniali per proseguire la sua attività, al quale si contrappone l’interesse individuale del socio di non vedersi alterati il valore ed i diritti della propria partecipazione azionaria. Partendo da quest’ultimo punto, l’interesse del socio è tutelato per mezzo del diritto d’opzione (art. 2441 c.1 c.c.), riconosciuto agi azionisti proporzionalmente alle partecipazioni detenute. Attraverso l’esercizio del diritto d’opzione, ciascun socio apporterà ricchezza tale da mantenere immutati i propri diritti patrimoniali ed amministrativi.
Qualora parte della compagine sociale non eserciti il suddetto diritto, agli azionisti aderenti all’aumento di capitale spetterà il diritto di prelazione sul c.d. inoptato, purché ne facciano richiesta contestualmente all’esercizio del diritto d’opzione (art.2441 c.3 c.c.). La ratio della previsione risiede nell’intenzione del legislatore di favorire i soci pregressi, accrescendone le quote (come si vedrà, non sarà così per le società quotate).
L’interesse individuale del socio può talvolta confliggere con l’interesse della società all’approvvigionamento dei mezzi necessari per la continuazione dell’attività d’impresa. Dello stesso avviso è il legislatore, il quale prevede che in determinate circostanze si possa derogare al diritto d’opzione. Si parla in questo caso di aumento di capitale riservato.
Nelle società chiuse sono tre i casi in cui si può limitare od escludere il diritto di cui all’art. 2441 c.1 c.c.: a) quando l’aumento di capitale deve essere liberato in natura (art. 2441 c.4 primo periodo c.c.); b) quando l’interesse della società lo esige (art.2441 c.5 c.c.); c) quando le azioni sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società che la controllano o che sono da essa controllate (art.2441 c.8 c.c.).
Le ampie casistiche di limitazione od esclusione del diritto di opzione si possono prestare ad abusi da parte degli amministratori o del socio di controllo, ai danni degli azionisti di minoranza, i quali vedrebbero ridursi la propria quota di capitale detenuta nella società (si potrebbe anche trattare di una operazione con parti correlate, disciplina particolarmente rilevante per le società aperte). L’articolo 2441 c.6 interviene prevedendo l’obbligo degli amministratori, nei casi di cui alla lettera a) e b) sopra accennati, di illustrare le ragioni della deroga al diritto d’opzione e i criteri adottati per la determinazione del prezzo di emissione. La relazione deve essere comunicata all’organo di controllo entro 30 giorni dall’assemblea e il collegio sindacale deve esprimere un giudizio sulla congruità del prezzo entro 15 giorni dal termine fissato per l’assemblea.
L’ultimo periodo dell’articolo 2441 c.6 stabilisce che per le società chiuse il prezzo di emissione è determinato tenuto conto del valore del patrimonio netto. Autorevole dottrina ritiene che gli amministratori non debbano avere riguardo al valore del patrimonio netto contabile, ma piuttosto al capitale economico della società. Qualora si perseguisse invece la lettera della norma e si facesse riferimento al patrimonio netto rinvenibile nell’ultimo bilancio approvato, il rischio sarebbe di sotto- o sopravvalutare il valore reale della società, dato che i dati contabili divergono spesso dalla realtà.
Una seconda classificazione è tra aumenti di capitale scindibili ed inscindibili. L’articolo 2439 al comma 2 afferma che “se l’aumento di capitale non è integralmente sottoscritto, […] il capitale è aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione medesima lo abbia espressamente previsto”. In mancanza di diversa disposizione, l’aumento di capitale è perciò inscindibile, ossia non si perfezionerà qualora il capitale sottoscritto risulti inferiore al capitale deliberato. La ratio della previsione la si rinviene nel desiderio del legislatore che il fabbisogno finanziario della società, quale risulta dalla delibera di aumento di capitale, sia interamente coperto.
La qualificazione di scindibilità ed inscindibilità ha conseguenze anche sul momento di emissione delle azioni. Mentre risulta incontrovertibile che negli aumenti di capitale inscindibili le azioni saranno emesse solo quando il capitale sarà interamente sottoscritto, ben si potranno avere aumenti di capitale scindibili in cui l’emissione delle azioni avviene anzitempo (si pensi agli aumenti di capitale in tranches).
Caratteristiche e peculiarità dell’aumento di capitale nelle società quotate e nella disciplina TUF
Nell’ambito dell’aumento di capitale nelle società quotate la disciplina civilistica presenta diversi tratti di specificità dettgliati dal T.U.F. In particolare, la disciplina del diritto di opzione presenta diverse peculiarità, più o meno rilevanti, allorché le azioni siano liberate dai soci o da nuovi conferenti di società con azioni quotate in mercati regolamentati.
In primis, Il termine minimo che deve essere concesso per l'esercizio del diritto di opzione, è stabilito dall’art. 2441 co.2. Per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a quattordici giorni dalla pubblicazione dell’offerta nel sito internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito, l’autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione.
Differentemente da quanto sostenuto in precedenza, I diritti di opzione non esercitati dai soci allo scadere del termine loro concesso dall'offerta di opzione non vengono riservati in "prelazione" agli azionisti che hanno esercitato il loro diritto di opzione e hanno fatto contestuale richiesta sull'inoptato, bensì «devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, per almeno cinque riunioni, entro il mese successivo alla scadenza del termine» medesimo (art. 2441, comma 3, c.c.).
Il presupposto della deroga non è lo status di società quotata da parte dell'emittente, bensì la circostanza che le azioni emesse siano negoziate in un mercato regolamentato; pertanto, allorché l'aumento di capitale deliberato da una società con azioni quotate abbia ad oggetto azioni di una categoria di azioni già in circolazione ma non quotate o una nuova categoria di azioni non contestualmente ammesse alla negoziazione, non troverà applicazione la disciplina "speciale", bensì quella "generale" stabilita dal primo periodo dell'art. 2441, comma 3, c.c.;
Così come per le società che non negoziano le loro azioni nei mercati regolamentati, anche le società quotate possono prevedere, secondo la disciplina del T.U.F, ipotesi di esclusione del diritto di opzione ai soci. Il legislatore del 1998 ha introdotto alcune novità procedurali alla disciplina del diritto di opzione (art. 134, comma 1, T.U.F) e della esclusione in caso di emissioni a favore dei dipendenti (art. 134, comma 2, T.U.F.), e che hanno successivamente posto le basi per l'introduzione di una fattispecie "speciale" di esclusione "semplificata" del diritto di opzione, riservata alle sole società quotate (art. 2441, comma 4, seconda frase, c.c.). Si ricorda infatti che, in base a tale norma, «nelle società con azioni quotate sui mercati regolamentati lo statuto può altresì escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione dalla società incaricata della revisione contabile».
In caso di esclusione del diritto di opzione il prezzo di emissione deve essere determinato, oltre che «sulla base del valore del patrimonio netto», anche «tenuto conto … dell'andamento delle quotazioni nell'ultimo semestre» (art. 2441, comma 6, c.c.). In ogni caso, il parere sulla congruità del prezzo di emissione, in tutti i casi di esclusione ex art. 2441, commi 4 e 5, c.c., viene redatto dalla società di revisione anziché dal collegio sindacale (art. 158, comma 1, T.U.F.).
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